Questo post ce l’avevo sulla punta delle dita da un po’ di tempo, ma ho sempre rimandato. Perché non voglio assolutamente alimentare o, peggio ancora, fomentare polemiche. Voglio mantenere un certo aplomb, andare dritta per la mia minuscola, insignificante strada, di quelle che il navigatore (leggasi motore di ricerca) non riesce a trovare, per intenderci. E non voglio farmi condizionare (e, in un certo senso, ingolosire) da tante brutture che vedo e leggo. Prendete questo post come una specie di disclaimer, perché sento proprio il bisogno di scrollarmi di dosso qualche responsabilità. Voglio dormire serena la notte, io.
Ieri mi sono sentita un pochino chiamata in causa in un forum di viaggi per bambini dove una mamma, di ritorno dalla Danimarca, ha detto che se l’aspettava molto più baby-friendly considerato tutto quello che aveva letto riguardo a questo bellissimo paese. Non credo si riferisse alla sottoscritta, non ho l’abitudine di spammare in mille forum, trovo che equivalga a urlare.
Però mi sono comunque fatta l’esame di coscienza. Perché effettivamente le cose, più che legittime, che questa mamma cercava non sempre erano presenti. E perché da quando pubblico i miei banalissimi contenuti in rete, sento una grossa responsabilità. Credo che gran parte dei lettori prenda per oro colato quello che legge in Internet. Lo percepisco dalle mail che ricevo, dalle richieste di consigli. E, vi prego, per quanto riguarda il mio blog: non fatelo.
Non perché racconti palle. Anzi, al contrario. Scrivo solo ed esclusivamente di viaggi ed esperienze che ho fatto in prima persona con i miei figli (aperta parentesi – sarà l’unica nota polemica del post, giuro – non crediate che lo facciano tutti – chiusa parentesi. Punto). Altrimenti non avrebbe senso definirlo un diario, sarebbe una rivista. In quel caso ci starebbe, eccome. Farei informazione. Vi direi “guardate che se andate lì, c’è quell’evento”. Invece io, in questo mio spazio, dell’evento vi parlo solo se ci sono stata. E, ancora meglio, se mi è piaciuto a tal punto da pensare che valga la pena ammorbarvi con il mio contributo. O, al contrario, se mi ha fatto talmente schifo da consigliarvi di non perdere il vostro tempo.
In breve sono una cantastorie. Una che vi racconta una bella favola davanti a un falò strimpellando due note con la chitarra. Una menestrella, talmente autorevole che mentre scrive si chiede se esista il femminile di questo termine.
E allora ci tengo davvero tanto a precisare due cosine, per correttezza nei confronti di chi legge. Non voglio prendere in giro nessuno né fare sponsorizzazione forzata di mete, ma solo raccontare il nostro vissuto.
Baby-friendly per la sottoscritta non è il fasciatoio in tutti i bagni in cui metto piede o lo scalda-biberon in stanza. Non è l’altalena sotto casa. Non è il brodo vegetale già pronto. Non è il seggiolone al ristorante, anche perché detesto andare al ristorante con i bambini. Non è il servizio baby-sitter, né gratis né a pagamento.
Perché se così fosse, sarei una disgraziata a dirvi che il viaggio in Cornovaglia, dove per chilometri si incontrano solo pecore, è stato uno dei più facili in famiglia.
Lo stesso dicasi di quello in Lapponia, dove per fare sleddog non ci sono tutte le misure di sicurezza obbligatorie qui in Italia. Lo scrivevo qui, gli standard al Nord sono completamente diversi. E io, per certi versi, mi sento molto vichinga.
Baby-friendly per me è ciò che ci fa stare realmente bene, tutti e cinque. Le cartine su misura, gli album da colorare negli uffici degli autonoleggi degli aeroporti, i lego per costruire mentre si aspetta in fila a Legoland, gli spazi appositi e i bauli dei travestimenti nei musei per giocare e divertirsi mentre mamma e papà fanno gli intellettuali. Le rocce su cui arrampicarsi, gli animali da accarezzare, le spiagge senza l’ombra di un essere umano. Tavolini e immensi spazi aperti per fare un picnic.
Prati in cui correre liberamente, carretti all’ingresso di ogni attrazione o passeggini di cortesia per trasportare i più pigri e macinare chilometri divertendosi.
Baby-friendly, per la sottoscritta, è esattamente la traduzione letterale del termine, deformazione professionale, perdonatemi.
A misura di bambino. E per il bambino, scusate la franchezza, se il pannolino pieno di cacca lo si cambia sul fasciatoio profumato o su un bel prato in fianco alle mucche che pascolano, davvero, non fa alcuna differenza.
7 Comments
Concordo pienamente in tutto quello che dici e mi permetto di aggiungere che baby-friendly è anche tutto quello che fa imparare ai bambini che non esiste un solo modo di vivere e vedere le cose o la vita in genere; ogni prospettiva ha la sua ragione di essere e osservare e imparare qualcosa da ognuna di esse ci rende persone un pochino migliori.
Bellissimo il tuo post….stupenda la definizione di cantastorie!
Hai proprio ragione Laura. Allargare gli orizzonti è sempre una mossa vincente :))
Ciao ho scoperto da poco il tuo blog e ti scrivo che condivido ogni tua riga del post, per me baby-friendly e tutto quello che ci fa stare insieme felici, le tante attività all’aperto e non, i colori e le mappe, il decidere cosa fare e le fotografie da scattare. Del fasciatoio e degli omogenizzati non me ne è mai importato niente!!
Bello sapere che in fondo siamo in tante a condividere questa filosofia. Sono proprio contenta :))
Un abbraccio
Condivido ogni cosa che hai scritto. Io sono una vecchia mamma, con figli ormai grandi, che hanno viaggiato con noi fin dalla loro prima estate (a 5 mesi per la prima figlia), con la tenda e il sacco a pelo, senza aspettarci niente e adattandoci ad ogni situazione. I miei figli ormai adulti hanno ricordi bellissimi e sono cresciuti senza nessun trauma. Ora sono entrambi grandi viaggiatori, curiosi del mondo.
Bellissimo quello che scrivi! E’ proprio il mio scopo, che crescano, come dici tu “grandi viaggiatori, curiosi del mondo”. Grazie di questa testimonianza, dà speranza, davvero. Un abbraccio